3 November 2025 – Guest contribution

Si può vivere di traduzione?

Camille Luscher nel giardino della Casa dei traduttori Looren © Seraina Boner
Camille Luscher nel giardino della Casa dei traduttori Looren © Seraina Boner

Un articolo di Camille Luscher

Quando ho iniziato a tradurre letteratura, quindici anni fa, mi dissero: «Vedrai, è pagato un filino meglio che scrivere libri, ma non di molto.» Ho affrontato la traduzione come un mestiere della scrittura, un lavoro di ri-creazione e di confronto serrato con il testo, che da un lato non c'entra nulla con le condizioni di lavoro di chi scrive, e dall’altro, invece, c’entra eccome.

Non c'entra nulla, perché l’atto creativo non è, com’è ovvio, lo stesso. Tradurre è riscrivere, scrivere a partire da: non c’è nessun vuoto da affrontare, non c'è quell’atto geniale che consiste nel creare dal nulla e che richiede, senza dubbio, una disponibilità e una concentrazione fenomenali.

Il traduttore, la traduttrice non conosce la pagina bianca. Se di angoscia soffre, è semmai quella della pagina nera con tutto quel suo brulicare di segni, quella coerenza, quel mondo in sé già compiuto, che si apprezza e ammira al punto da volerlo tradurre, e che occorrerà affrontare, ricreare. Si sente spesso parlare dell'umiltà di chi traduce: e tuttavia ci vuole un po’ di faccia tosta per osare mettersi all’altezza di un Max Frisch, di una Christa Wolf o di un James Joyce, e pretendere di riprodurne la lingua, lo stile, l’originalità letteraria!

Tradurre è riprodurre il gesto dell’autrice o dell’autore. Anche questo richiede una disponibilità e una concentrazione particolari. Diverse da quelle del creare «dal nulla», d’accordo, e tuttavia da non sottovalutare.

Del resto, lo statuto di autore o autrice è innanzitutto giuridico. Secondo il diritto d’autore, le traduttrici e i traduttori sono autrici e autori della loro traduzione e ne condividono i diritti con l’autore o l'autrice dell’originale. Dimenticare di menzionare il traduttore o la traduttrice sulle pagine di un quotidiano, in una trasmissione radiofonica o nell'assegnazione di un premio letterario costituisce una violazione del diritto d’autore: #Namethetranslator. Non si tratta di una cortese concessione, ma di un obbligo.

Ciò che peraltro è davvero comparabile sono le fonti di reddito e i modelli contrattuali. Perciò l’integrazione di scrittrici e scrittori e traduttrici e traduttori in una stessa associazione – l’A*dS, Autrici ed Autori della Svizzera – ha pieno senso. Il fatto è che oggi, in Svizzera, non si può vivere di sola traduzione letteraria: gli onorari proposti dalle case editrici non bastano a garantire un reddito dignitoso.

Vorrei darvi un’idea di come si compone la remunerazione di una traduzione editoriale, a rischio di ripetere cose ormai risapute. È consuetudine calcolare il compenso di una traduzione di prosa sulla base della cartella, cioè di un'unità convenzionale che corrisponde a un numero di battute (spazi inclusi): 1400–1500 in Francia; 1500–1800 in Svizzera e in Germania.

Il compenso a contratto comprende tutte le fasi di lavorazione: lettura del testo, traduzione (diciamo in media tre passaggi su ogni pagina), eventuali ricerche, scambio con l’autrice o l'autore, revisione della traduzione a seguito della rilettura della redazione (uno o due passaggi), integrazione delle correzioni del correttore di bozze (ortografico e grammaticale), riletture delle bozze finali (fino a tre passaggi). In certi casi, al lavoro sul testo si aggiunge quello sul paratesto: stesura della scheda editoriale, della quarta di copertina, della bio dell’autore o dell'autrice, persino di una postfazione o di una nota del traduttore o della traduttrice. Non tutte le case editrici richiedono questo lavoro supplementare; mentre alcune offrono addirittura una remunerazione. Ma lo squilibrio dei rapporti di forza, insieme al senso di responsabilità che il traduttore o la traduttrice ha nei confronti del libro che traduce, sono tali che negoziare è molto difficile, per non dire impossibile. Certo che quella prefazione la si vuol fare, e ci sta a cuore che la quarta di copertina sia ben congegnata! Nessun traduttore, nessuna traduttrice, dopo aver passato quasi sei mesi su un testo, dirà che rinuncia a rileggere le bozze in mancanza di un compenso adeguato, lasciando alla casa editrice l'ultima parola sulle correzioni da apportare: correrebbe il rischio di veder uscire sotto il proprio nome un testo che non riconosce come suo. Ed eccoci tornare alla nozione di «autore» o «autrice»: si firma il testo e se ne è responsabili. Non si fornisce un semplice servizio di traduzione: quel libro che si consegna è anche nostro.

Ho dimenticato di precisare che, avendo le traduttrici e i traduttori lo status di professionisti indipendenti, il compenso a cartella comprende ovviamente tutti gli oneri sociali. Nessuna aliquota aggiuntiva è a carico dal committente: contributi previdenziali, ferie, assicurazione contro gli infortuni e disoccupazione. Tutto è compreso in quel compenso che, nel migliore dei casi, equivale ai 60 franchi a cartella riconosciuti attualmente dalla Fondazione Pro Helvetia. Per contro, ricordiamo che una grafica, anche lei professionista indipendente, in Svizzera fattura circa 150 franchi l’ora.

La gran parte delle traduzioni pubblicate in Svizzera è sovvenzionata. Senza aiuti, non vedrebbero la luce, perché la traduzione ha un prezzo, e questo incide considerevolmente sul costo di un libro che ha molte probabilità di vendere meno di un testo in lingua originale. È così: le traduzioni vendono poco, e, a dirla tutta, sempre meno, su questo le case editrici sono unanimi. Un sostegno è dunque indispensabile perché gli editori continuino a pubblicare libri in traduzione. Ma vorrei distinguere tra sostegno alla traduzione e sostegno alle traduttrici e ai traduttori: il primo consente alle case editrici di pagare chi traduce per il suo lavoro, che dunque è garantito; d'altra parte, però, le condizioni di lavoro non migliorano.

Considerare la traduzione letteraria non come un hobby, ma come un mestiere, implica conciliare lavori alimentari con il lavoro di traduzione, accettare (e quindi trovare) testi su commissione, partecipare a laboratori di traduzione, incontri nelle classi, letture pubbliche, ecc., il tutto contemporaneamente. Per garantire la qualità del lavoro e quella della vita, queste attività collaterali devono necessariamente essere integrate da borse, residenze e premi di traduzione.

Fino a poco tempo fa, chi traduceva letteratura – come, del resto, le scrittrici e gli scrittori – se la cavavano alternando traduzioni impegnative e traduzioni «facili»: commerciali, turistiche, tecniche. Questi testi erano spesso meglio retribuiti. Oggi questa alternanza è messa a dura prova, per non dire demolita: le traduzioni “facili” praticamente non esistono più. Traduttori di testi non letterari mi contattano desiderosi di passare alla traduzione letteraria, che immaginano più redditizia. Mi sembra che il mondo sia finito a testa in giù! E insieme vi intravedo una speranza: il sogno di una società che valorizzi il gesto artistico, la creatività, il tempo lungo di una traduzione letteraria, e lasci automatizzare i compiti più tediosi. Ma non devo dimenticare che ciò che per me è noioso non per tutti lo è: c’è chi adora tradurre i foglietti illustrativi dei farmaci e non ha affatto voglia di perdere quel lavoro. E soprattutto non devo dimenticare che questo sogno ha dell’utopia. Siamo ancora lontani dal poter “vendere” nei nostri master la traduzione letteraria come un mestiere del futuro.

Per le traduttrici e i traduttori, una borsa consente di dedicare più tempo alla ricerca. Alle letture parallele. A quel procedere che consente di seguire passo dopo passo le orme dell’autore. Alle divagazioni, a volte, necessarie per ritrovare la strada passando per vie traverse. A quel tempo di latenza che consente la comprensione profonda, i tentativi, le stesure provvisorie. Perché la traduzione migliore spesso non è la più evidente, né la più letterale o la più diretta.

Una borsa di lavoro o di ricerca significa anche poter tirare il fiato per non lavorare sempre in apnea, talvolta su quattro testi alla volta, dalla mattina alla sera, nei fine settimana, senza mai una tregua. Mettere magari qualcosa da parte per non doversi ritrovare, settimane dopo, a sollecitare per cinque volte la casa editrice che non ti paga da sei mesi per «un problema di contabilità». Stemperare le tensioni e, nello stesso tempo, rasserenare i rapporti con quella stessa casa editrice o con la successiva, che vorrebbe tanto integrare una prefazione, fondamentale per chiarire il contesto del libro e facilitarne la ricezione, ma che davvero non può pagare più di 200 franchi.

Una borsa per le traduttrici e i traduttori significa, infine, anche preservare quella passione tanto necessaria per tradurre. Perché la traduzione richiede passione; bisogna potervisi dedicare a oltranza, senza lesinare, lasciando che la ricerca della parola giusta invada tutta la vita, le conversazioni, i sogni. È anche questo il bello, ciò che amiamo di un amore appassionato. Ma la passione basta sempre meno a pagare l’affitto, e il costante aumento del costo della vita ha il malaugurato effetto di eroderla, di assottigliarla.

Le borse di lavoro, le borse di ricerca, le integrazioni di onorario, le residenze retribuite o altre forme di sostegno ancora da inventare offriranno alle traduttrici e ai traduttori condizioni di lavoro migliori, quindi la possibilità di sottrarsi alla precarietà dei nostri mestieri, e contribuiranno a far sì che la traduzione letteraria sia riconosciuta come pratica culturale e, in generale, come forma d’arte creativa.

Una prima versione di questo testo è stata presentata in occasione di un incontro tra responsabili dei settori culturali delle città e dei cantoni della Svizzera, organizzato dall’A*dS, Autrici e autori della Svizzera, e dalla Fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia nell’ambito della campagna «Niente Svizzera senza traduzione».

Traduzione dal francese: Marina Pugliano

Camille Luscher
Camille Luscher

Nata a Ginevra, dove tuttora vive, Camille Luscher collabora con diverse case editrici e riviste traducendo dal tedesco in francese romanzi, poesia, teatro e letteratura per l’infanzia (Annette Hug, Max Frisch, Eleonore Frey, Arno Camenisch, …). Lavora inoltre presso il Centre de traduction littéraire di Losanna come mediatrice letteraria e dirige la collana «Domaine allemand» per la casa editrice Zoé.

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