Se una notte d'autunno i traduttori...
«Buonasera, mi chiamo Gian Andrea Walther e mi occupo dell’archivio storico di Castelmur. Volevo dire: ma perché in quella frase lì non ci avete messo un passato remoto, per esempio?»
«Interessante questa osservazione, signor Gian Andrea: la questione dei tempi verbali in traduzione è sempre spinosa.»
Acuta davvero, l’osservazione del nostro spettatore, e come primo intervento del Laboratorio aperto sulla traduzione del giallo non può che rallegrarci intimamente. Siamo a Castasegna, minuscolo borgo a presidio della linea di confine tra Bregaglia e Valchiavenna, chiesa riformata e cattolica, rösti e pizzoccheri, rigore elvetico ed estro italico.
A dispetto delle barriere geopolitiche, tra questi aspri picchi di roccia ammantati dalla morbidezza del verde e delle nuvole gli umani parlano un idioma comune: l’italiano. E all’italiano è dedicato il progetto che ci vede qui riuniti in una sera di fine ottobre 2015 per discutere, dodici traduttori dalle lingue più svariate, di scelte lessicali, sintattiche, ritmiche, stilistiche, insieme a un pubblico insolito: una pasticciera, un erborista, un gruppo di insegnanti delle scuole elementari, un architetto, un pastore (di pecore, non di anime), una pastora (di anime, non di pecore), una bibliotecaria, una ristoratrice, i membri locali della Pro Grigioni Italiano, e Siska e Arnout, le anime (vive, vivissime) di Villa Garbald, luogo di storia e d’arte progettato nell’Ottocento dal celebre architetto Gottfried Semper per i coniugi Agostino e Johanna Garbald-Gredig, lei scrittrice, lui direttore della dogana e appassionato cultore delle arti e delle scienze.
È qui che due volte l'anno, in combinazioni sempre diverse, i traduttori di Laboratorio italiano alloggiano e lavorano per sette giorni di fila. Visto da fuori, quindi, quello che stiamo facendo è un workshop di formazione continua per traduttori letterari. Attraverso il lavoro gomito a gomito ci confrontiamo e illuminiamo e sosteniamo a vicenda per una settimana di full immersion traduttiva, un’occasione di crescita unica per noi, frequentatori tendenzialmente solitari di pagine e tastiere.
Da dentro, invece, siamo una massa fluida e cangiante di professionisti appassionati e scatenati, puntigliosissimi e scherzosi, competenti nei più svariati ambiti dell’essere, del sentire e del fare, chi di lungo e lunghissimo corso – decine e decine di titoli all'attivo e qualche riconoscimento prestigioso alle spalle – chi alle prime esperienze. Ciascuno arriva con alcune pagine del libro che sta traducendo per confrontarsi con i colleghi sulle questioni più spinose e le piccole e grandi strategie che ogni volta, da ri-scrittori quali siamo, ci si trova a dover reinventare. E tanti sono gli autori cui danno voce i traduttori, sempre diversi, che partecipano: Virginia Woolf, Marcello Fois, Jason Aaron, Rudyard Kypling, Astrid Lindgren, Amelia Rosselli, Andrea Camilleri, David Szalay, Fabio Pusterla, Zerocalcare – solo per citarne alcuni. Ma anche autori svizzeri che, grazie a Laboratorio italiano, hanno varcato i confini nazionali: Philippe Rahmy e Michelle Steinbeck, per esempio. Perché i traduttori questo sono: costruttori di ponti.
E ogni volta a Villa Garbald – e a Ciäsa Granda, un po’ più in là, in quel di Stampa, vicino all’Atelier Giacometti: tutti artisti, qui! – proviamo a coinvolgere nelle nostre esplorazioni anche i bregagliotti nostri ospiti, organizzando serate aperte sui testi del laboratorio e su temi vari: la presentazione di un libro appena uscito, un incontro di un poeta con la sua traduttrice, una chiacchierata tra una disegnatrice e un esperto di graphic novel, una scorribanda tra follie carrolliane e lindgreniane…
Durante il rinfresco di rito all’Hotel Posta, dopo una di queste serate in cui si è parlato di uso letterario del dialetto, veniamo avvicinate da due occhi azzurri e penetranti su una barba luuuunga e candida sopra un maglione a trecce quasi altrettanto candido. «Piacere, Giuanìn»: questo ci resta impresso nella memoria, ma forse ci sbagliamo, è che siamo talmente in preda allo stupore estetico che non ricordiamo bene. Ricordiamo invece che “Giuanìn”, pastore che vive sugli alpeggi, viene dal Canton Ticino e vuole condividere con noi delle riflessioni sulle differenze lessicali e strutturali tra parlata bregagliotta e ticinese. «Cioè, io non me ne intendo perché faccio un altro mestiere, ma anche se la lingua sembra la stessa, le cose certe volte prendono nomi diversi e si dicono in modo diverso. È interessante, come faccenda, rischi di non capirti parlando sempre in italiano…» Eh, a noi lo dice!
E i bambini delle scuole di Vicosoprano, con cui nel 2016 abbiamo lavorato per un giorno intero alla fine della settimana di laboratorio dedicato alla traduzione per ragazzi? Parliamo un po’ dell’orgoglio con cui uno gnometto di prima elementare – prima elementare! – a un certo punto alza la mano e con gli occhi che luccicano dice: «Io so i nomi in latino degli animali! Anche il latino è una lingua! La volpe è vulpis. A casa mia invece diciamo gulp». Come mai conosce i nomi degli animali in latino? Per merito dei cartelli piazzati lungo i sentieri del castagneto più grande d’Europa (mica si chiama Castasegna per niente, no?), dove lui va regolarmente con la nonna.
Insomma, le lingue esistono. Ed esistono le persone. E quando muoiono gli ultimi parlanti, muoiono anche le lingue. Se il nostro programma ha messo radici qui in Bregaglia è anche per immettere linfa vitale nell’italiano, anzi, negli italiani parlati di qua e di là dalla frontiera, perché a ogni individuo che varca il confine in un senso o nell’altro corrisponde un mondo, e se vogliamo evitare che le torri di Babele si moltiplichino i mondi devono imparare a comunicare al meglio portando alla luce, magari, nuove possibilità di abbattere o aggirare muri che forse non esistono ma sono solo frutto di pigrizie e di paure. Le lingue ci portano in giro e noi portiamo in giro loro. Poi, ogni tanto, ritornano a casa, lavate e rinfrescate, o coi vestiti bucati ma più interessanti perché vissuti. E capita che…
«Buonasera, mi presento per chi non mi conosce ancora, sono Gian Andrea Walther, responsabile dell’archivio storico di Castelmur. Adesso che è finito anche questo incontro, e io vi seguo sempre da quando voi traduttori siete arrivati qui a Castasegna nel 2015, adesso che è finito anche questo incontro, dicevo, volevo fare ufficialmente una proposta a Anna e Marina. Perché è successa una cosa e io ho subito pensato a voi: mi è sembrato naturale, un modo anche per consolidare nella pratica il legame con questo posto, no? Allora, dovete sapere che la nipote di Silvio Spargnapani, che era un nostro compaesano qui di Castasegna, nato nell’Ottocento e emigrato in Francia e poi in Inghilterra…»
Capita, per farla breve, che una sera ti venga messa in mano l’autobiografia di un emigrato castasegnino scritta in inglese per i figli nati in Inghilterra, e che la nipote dell’estensore decida di donarla all’Archivio storico di Castelmur, dove si registrano doviziosamente storie e flussi migratori secolari dalla e nella Val Bregaglia. E capita che al responsabile dell’Archivio, un signore che si interessa di tempi verbali e non manca mai a un appuntamento con i traduttori, venga in mente che sarebbe bello e utile tradurla in italiano, questa autobiografia, e che potremmo essere noi a occuparcene, noi che da anni sulla traduzione abbiamo aperto un dialogo ricco e approfondito con pasticcieri, maestri, architetti, pastori locali... Capita, insomma, che ti ritrovi fra le mani un testo commovente e vivo, nato in una lingua che non era la lingua madre dell’estensore e scalcinata e vibrante come un parlato, e che attraverso questo ritratto in bianco e nero di tempi andati ma ancora riconoscibili, i tempi dei nostri nonni, fatti di slitte a cavallo e metri di neve anziché di SUV e cambiamenti climatici, il cerchio si chiuda e il legame con questo luogo di confine si concretizzi in un progetto dal titolo inequivocabile: «Ritrovare la voce. Silvio Spargnapani, storia di un ritorno». Perché, come recita lo slogan di un video del CEATL, il centro europeo delle associazioni dei traduttori letterari, words travel worlds: translators do the driving.
Marina Pugliano e Anna Rusconi
La Villa Garbald a Castasegna, Bregaglia
In breve: Laboratorio italiano, progetto di formazione permanente promosso dalla Casa dei traduttori Looren per traduttori letterari da e verso l'italiano, nasce nel 2015 e avrà corso fino al 2021. È coordinato da Marina Pugliano e Anna Rusconi e prevede ogni anno due workshop in residenza: i ViceVersa primaverili – finora nelle combinazioni con tedesco, francese e inglese – e i tematici autunnali – fin qui sono stati affrontati il giallo, la letteratura per l’infanzia, fumetti e graphic novel e la poesia. Si tratta di un’iniziativa altamente professionalizzante non didattica (struttura docente-discenti) ma peer-to-peer (con due semplici moderatori) che soddisfa la fame di formazione continua dei traduttori letterari.
I laboratori durano una settimana e sono di carattere pratico (i testi proposti dai partecipanti devono essere già contrattualizzati e in lavorazione o in corso di valutazione da parte di editori) e intensivo (ciascun partecipante si prepara sui testi di tutti gli altri). Grazie alla stretta interazione e allo scambio di informazioni tra colleghi italiani e stranieri, alcuni titoli presentati nei laboratori come proposte sono stati poi acquistati e pubblicati da case editrici italiane e straniere, a conferma della ricaduta concreta e positiva del progetto sul mercato del libro.
Ogni appuntamento è accompagnato da due eventi pubblici – Laboratorio aperto, a Villa Garbald, e una serata al museo Ciäsa Granda di Stampa – ed è interamente promosso e finanziato dalla Casa dei traduttori Looren (canton di Zurigo), in collaborazione con Pro Helvetia, Ernst Göhner Stiftung, Fondazione Garbald e Pro Grigioni Italiano, nonché con enti pubblici e privati dei paesi coinvolti nelle varie combinazioni linguistiche.
Anna Rusconi (a sinistra) e Marina Pugliano, coordinatrici del programma Laboratorio italiano che si svolge in Bregaglia. Foto: Francesca Pagliai (a sinistra) e Mario Nuti.
Anna Rusconi
Traduce da più di trent’anni narrativa e saggistica dall’inglese. Ha insegnato traduzione letteraria presso la Civica Altiero Spinelli di Milano e alla magistrale in TLS di Lingue Moderne dell’Università di Pisa e collabora con l’UNIL di Losanna. Nel 2013 ha fondato la Scuola estiva di traduzione Gina Maneri e Anna Rusconi e dal 2015 coordina, insieme a Marina Pugliano, il progetto Laboratorio italiano della Casa dei traduttori Looren. Tra i suoi autori: Alice Munro, Lu Ji, Jared Diamond, David Szalay, Lewis Carroll, Haruki Murakami, Helen Macdonald, Jack London, Rivka Galchen, Daniel Defoe, Martha Gellhorn, Anosh Irani, Ian Rankin, Alain De Botton, Louis De Bernières, Patricia Cornwell.
Marina Pugliano
Traduce dal tedesco. Fra gli editori con cui collabora: Marsilio, Rizzoli, Sellerio, Mondadori, Carocci, Sonzogno. Nel 2006 ha ricevuto il Premio Mittner per la traduzione di Jans deve morire, di Anna Seghers (E/O 2003), e nel 2010 il Premio italo-tedesco per la traduzione di Un viaggio di H.G. Adler (Fazi, 2010). Dal 2006 guida con Andreas Löhrer il ViceVersa italiano-tedesco, e dal 2015 coordina con Anna Rusconi Laboratorio Italiano. Inoltre cura Voci a fronte, sezione del festival internazionale di poesia Voci lontane, voci sorelle (Firenze). Dal 2016 è segretaria di StradeLab e fautrice di una petizione per la creazione di un fondo per i traduttori letterari.